Mah, a volte il caso è un colpo d'occhio: fa trovare cose interessanti. Ho trovato questa storia in una vecchia antologia di mia madre mentre cercavo
delle graffettone per una dispensa...Mi ha commosso e incuriosito a suo modo... Non
so perché, ma mi sarebbe veramente piaciuto conoscere questa donna,
aiutarla, darle quel calore umano di cui aveva bisogno e apprendere i suoi
segreti ...non succederà mai, purtroppo eppure mi sento lo stesso vicino a lei.
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Non
è necessario essere una stanza o una casa per essere stregata.
Il
cervello ha corridoi che vanno oltre gli spazi materiali.
(Emily Dickinson) |
Tratto dal libro "I misteri
d’Italia", Oscar Mondadori, Milano, 1978
"L’amico Franco Manocchia mi ha condotto a vedere la casupola abbandonata
dove è vissuta e morta la strega Melinda. È una misera catapecchia della
montagna, il pavimento è di terra battuta, le stanze per modo di dire sono tre,
i mobili non esistono più tranne una rozza mensola dove una volta stava il
rozzo testone di legno per le fatture. Sul focolare, ancora della cenere. nel
letto del primo locale, dove lei dormiva, una breccia fra le sconnesse tegole
di cotto. Di là è volata fuori l’anima di Melinda al momento della morte, tre
anni fa, per vecchiaia, all’età di 93 anni.
Pianse la mamma quando io nacqui, per giorni e notti mi hanno detto che
pianse, e morì pochi mesi dopo, credo che morì proprio per questo, perché ero
nata io figlia maledetta. Se fossi nata maschio, sarebbe stato tutto diverso,
avrei spezzato la catena del destino; un bambino come tutti gli altri, un
ragazzo, un uomo come tutti gli latri, contadino, muratore, cameriere, o sarei
morto in guerra, chissà. E non sarei stata sempre così sola. Settima femmina di
una famiglia senza maschi, nata al settimo mese avvolta nella placenta, sette e
sette, numero della malasorte. Chi mai nacque più strega di me?
È uno sperduto paese di povera gente sul piedistallo del Gran Sasso, tra
boschi, ripidi prati e magri campi. Fino a pochi anni fa né strade né luce. Una
dozzina di case ai lati di una strada erta e fangosa. Altri casolari sparsi
intorno. Niente che sorrida, se non qualche faccia di bambino, e il sole di
settembre. L’ex-tana di Melinda sorge isolata, alta sopra il paese.
“Poveraccia” dice Manocchia. “La sua storia ricorda un po’ la Monaca di
Monza. Fin da piccola condannata a fare la strega, come quella era stata
condannata al convento. E non si poteva ribellar. Io l’ho conosciuta”.
Ma da bambina io non lo sapevo, nessuno mi aveva detto niente. Soltanto
non capivo perché le altre bambine non giocavano con me, perché in chiesa le
donne mi guardavano fisse. Mi guardavano perché ero una bella ragazza? No, mi
guardavano perché ero disgraziata, ma la mia disgrazia non la conoscevo ancora.
Avevo quindici anni quando una comare mi disse: lo sai che sei una
strega? Nata settima femmina il settimo mese, questo è il segno, sarai strega
per tutta la vita.
Alla notizia feci un salto di gioia, invece che piangere. Così cominciò
la mia vita grama. Felice di sapermi una strega perché un giovanotto di Penne
proprio di quei tempi mi aveva avuto; sedotta e poi abbandonata; quindi partito
per militare senza un bacio né un saluto né una cartolina postale. E io ero
andata dalla comare con questa mia disperazione. Allora lei disse: brava, fagli
subito vedere che strega sei, fagli una buona fattura a legare, vieni di qua
che ti insegno io.
Mi insegnò. Quando lui tornò dal fronte nel suo guanciale del letto
c’era nascosta la mia fattura, e in pochi giorni fu ammattito d’amore. Erano
ciocche dei miei capelli, un bottone del mio corpetto, un pannolino sporco di
sangue mio. Così tornò da me e in pochi giorni eravamo sposi.
Ma ero venuta al mondo disgraziata: poco dopo ch’era ripartito per la
guerra, mi arrivò una carta dei comandi militari: siamo dolenti di... Insomma
era rimasto ammazzato in battaglia.
Ebbi due gemelli, due bei maschietti. I miei figli! Appena diventati
grandi, uno da una parte e uno dall’altra.
Una madre come me? Una madre strega? Via tutti e due per il mondo. Non
li ho mai più visti, non hanno mai scritto, dovrebbero stare nelle Americhe,
chissà.
“L’ho conosciuta” racconta Manocchia. “Una classica strega abruzzese
senza niente di romantico: una che applica l’antico codice della stregoneria
locale tramandato a voce di strega in strega: una che sa benissimo quando fa il
bene e fa il male, che non si illude e sa di non poter evitare l’inferno. C’è
per lei una sola salvezza possibile; se al momento della morte, quando il
diavolo aspetta alla porta, qualcuno apre un buco nel tetto, per dove l’anima
possa fuggire.
“Però era una buonissima donna. Avrà magari ammazzato qualcuno con le
sue ingenue fatture, però so che era una buonissima donna, per quanto sembri
assurdo. A 83 anni, quando l’ho conosciuta, i capelli erano tutti neri e lucidi
come un corvo. Occhi a spillo, labbro inferiore sporgente, naso aquilino, sembrava
la sorella di Dante Alighieri. Un’espressione bonaria e tranquilla. Tanto lei
era pulita di persona, tanto era sudicia la sua casa. Zoppicava un poco,
parlava soltanto in dialetto. La gente la odiava e la temeva; in fondo erano
loro che l’avevano voluta così. Solo i bambini venivano a beffeggiarla, allora
lei usciva con la scopa in mano. Ma senza rabbia. Finiva la sfuriata
sorridendo.”
Il buon effetto della mia prima fattura fece il giro delle comari. Per
il marito morto in guerra mi diedero una pensione, ma era così poca. I due
piccoli avevano fame, avevo fame io. Mi diedi da fare.
Andai a Forcella da un magarone che operava con un trincetto da
calzolaio e guariva torcibudella e cancro. Quello però era un mago buono, mi
insegnò soltanto le arti del bene. Le fatture cattive le imparai da una vecchia
di Monteprandone, provincia di Ascoli Piceno.
Poi me ne tornai al paese e cominciai a operare, non avevo ancora
diciott’anni.
Da allora cominciarono a venire dai paesi vicini perché avevano bisogno
di guarire, di guadagnare, di amare, di uccidere. Quando mi chiedevano del
male, appena possibile rispondeva di no; allora gridavano: che razza di strega
sei? Per le fatture buone mi davano a volontà: un mazzo d’agli, qualche carta
da cento. Per le fatture a morte volevo mezzo maiale.
Un giorno arrivò un vecchio dalla montagna, era brutto, cattivo, padre
di tre figli, voleva una fattura a morte per una biondina del suo paese. La
conoscevo, aveva appena tredici anni, con due belle trecce, due occhi azzurri,
un visino da baci. Il vecchio le si era attaccato alle sottanelle, lei lo aveva
cacciato, lui l’aveva presa per forza. I genitori avevano fatto denuncia,
adesso si aspettava il processo, il vecchio voleva la ragazzina morta perché
non andasse più a testimoniare. Non era un delitto troppo brutto? Io gli
risposi di no. Ma l’uomo impazzito cominciò a bastonarmi, gridava: se non
obbedisci ti ammazzo. Mezza morta allora gliela feci, era però una fattura
falsa, infatti la biondina neppure si ammalò.
“Melinda mi aveva preso subito in simpatia” dice Manocchia. “Fatto è che
mi ha spiegato vari suoi sortilegi. Per esempio quello che fa diventare pazzi,
o ciechi, o sordi; lei usava un faccione di donna scolpito in una radice
d’olivo, con una criniera di capelli finti; e ficcava chiodi nella parte
desiderata. Questo feticcio serviva anche per le fatture a trasferimento, che
fanno passare una malattia da una persona all’altra. E spesso il risultato
c’era.
“Per far soffrire d’amore invece Melinda chiedeva una fotografia
dell’amato, un oggetto o indumento che fosse stato a contatto della sua pelle,
un cuore di capretto e degli spilli. Il cuore lo metteva sopra la foto e poi lo
trafiggeva con gli spilli. L’oggetto dell’amato doveva essere tenuto sotto il
guanciale di lei.
“Le fatture a morte erano fatte di succo di radici bollite, infuso di
lauro, sangue di porco lessato, sangue della donna che voleva uccidere o seme
dell’uomo, svariate erbe e spezzatino di funghi velenosi; da versare, in dosi
minime, per sette giorni, nel caffè della vittima. Melinda una volta me n’ha
consegnato un campione. Era un intruglio nerastro che ho voluto dare a un
laboratorio da analizzare. Sfido che aveva effetto, altro che arti magiche. Mi
hanno risposto che era veleno bello e buono.
“Da quel giorno non l’ho vista più. Povera Melinda. È morta tre estati
fa. Forse è stata l’ultima vera strega d’Abruzzi” nella voce di Manocchia c’è
quasi un velo di rimpianto. “Le altre ancora vive, dai loro paeselli sono scese
nelle città, all’Aquila, a Teramo, a Pescara, a Francavilla, si sono
industrializzate, hanno aperti gabinetti di consultazione, mettono inserzioni
sui giornali, piccole maghe imborghesite. È un mondo scomparso per sempre. E
delle streghe defunte, come in questo paese, nessuno parla volentieri.”
Di fatture ne feci migliaia e migliaia nella lunga vita, molte per il
bene, poche per il male e la morte. Però sempre povera in canna rimasi. La gente
non mi amava né odiava, certo se uscivo nella notte di Natale quando c’è la
caccia alle streghe, mi bruciavano viva, garantito. Io lo sapevo e mi chiudevo
in casa; chiusa in casa più sola che mai, per tante e tante notti del Santo
natale che mi ero ormai stancata di contarle.
Ma non era questo il mio dispiacere. La pena era che alla mia morte
nessuno sarebbe venuto ad aprire il buco nel tetto, un foro, una porticina per
l’anima mia.
Eppure al mondo c’è più buona gente di quello che si crede. Ero in letto
senza più forze, che non mi potevo neanche muovere, però con gli occhi ancora
aperti, e sentivo fuori il diavolo che camminava su e giù aspettando e batteva
lo zoccolo impaziente perché ero così lenta a morire, quando sono arrivate due
con una scala di legno, hanno rotto le tegole, hanno fatto un buco nel tetto, e
la mia vecchia anima se n’è volata su come una farfalletta.
Così, adesso, io, dormo in pace. Grazie"
Spero vi sia piaciuta com'è piaciuta subito a me e ..Magari vi scappi un
pensiero d'amore per una delle ultime streghe d'Italia
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